martedì 1 agosto 2017

Racconto di Parto n. 32

Il racconto di parto di oggi è della mamma blogger Martina del blog www.viaggiatrovaama.com, una travel blogger che racconta nel suo blog i suoi viaggi e le ricette scoperte in giro per il mondo.
Oggi invece ci racconta il suo "viaggio" più importante, ci racconta il suo parto!




Ecco il suo racconto di parto:


Era il 10 giugno di un’estate che, per fortuna, tardava ad arrivare. Nonostante il mio pancione immenso, il caldo era ancora sopportabile e quella sera la pioggia cadeva scrosciante. Mi trovavo a cena da amici e cominciai ad avvertire delle contrazioni diverse da quelle che avevo avuto fino a quel momento. “Amore, mi sa che è meglio se passiamo a prendere la valigia e andiamo in ospedale.” “Posso finire la mia birra prima?” fu la risposta di mio marito. Come dargli torto?

racconto di parto di Martina


Nonostante mancassero ancora tre giorni al termine eravamo già stati al pronto soccorso ostetrico tre o quattro volte. Una volta perché Diana si era all’improvviso messa trasversa (con la manovra di rivolgimento erano riusciti a rimetterla cefalica), un’altra perché faticavo a distinguere le contrazioni di Braxton Hicks da quelle vere, un’altra ancora perché avevo avvertito del liquido scendere tra le mie gambe ed ero convita che si fosse bucato il sacco amniotico. “Certo, bevila pure.” Non potevo rispondere altro.

Arrivati in ospedale verso le 23, sono stata come al solito visitata e la sentenza era ancora quella: le contrazioni non erano ancora giuste, avevo così tanto liquido che Diana poteva allegramente sguazzare, zero dilatazione. Io però, dopo un mese di false contrazioni, avvertivo che qualcosa stava cambiando. “Signora, io le direi di tornare a casa, però se mi dice che tra un’ora torna di nuovo qui perché non si sente sicura, tanto vale che la faccia ricoverare in stanza” nonostante le parole del ginecologo di guardia non lasciassero adito a molta speranza, decisi di restare in ospedale.
Mio marito mi accompagnò in stanza e poi andò a casa a dormire, lo pregai di tenere il telefono vicino perché non volevo rischiare di partorire senza di lui. Mi sdraiai nel letto e cercai di riposarmi.

Tra una contrazione e l’altra non andava così male. Finché alle 5 del mattino sentii un fiume in piena uscire dal mio corpo. Suonai il campanello per chiamare l’infermiera, la quale mi accompagnò dal ginecologo di prima. Era scettico sul fatto che mi si fossero rotte le acque. Ancora una volta: le contrazioni non erano giuste, avevo parecchio liquido, zero dilatazione. “Devo avvertire mio marito?” “Si figuri, qui almeno almeno fino a mezzogiorno non succederà nulla”. Fui rispedita nuovamente in stanza. Sdraiata nel lettino accarezzavo il mio pancione, quando arrivava una contrazione respiravo profondamente, cercando di non disturbare la mia compagna di stanza con il mio dolore. Lei era lì con il suo piccolino e io la invidiavo un sacco.

Le contrazioni erano sempre più forti e ravvicinate, dopo un’ora avevo raggiunto la mia soglia di dolore massima e chiamai mio marito, gli chiesi di venire lì subito. Per fortuna abitiamo a soli tre minuti dall’ospedale. Quando arrivò riuscii a stento a dirgli “sono in travaglio” “Te l’ha detto qualcuno?” “No, me lo sento”. Chiamò l’infermiera e tornammo insieme in sala monitoraggio.
Non so come feci a percorrere quel corridoio a piedi, quasi non riuscivo a parlare per il dolore.

Arrivai nella sala e mi scambiarono per un’altra ragazza, volevano farmi sedere per controllare il tracciato, ma io continuavo a scuotere la testa e dire che mi faceva male. Volevo un’epidurale il prima possibile. Quando l’ostetrica si convinse della mia condizione mi accompagnò in sala parto per visitarmi, dopo due passi le dissi che sentivo di dover spingere. Lei mi intimò di trattenermi. Arrivati al lettino mi visitò: si vedeva già il ciuffo! “Chiamate mio marito” era dovuto restare fuori in attesa della visita. Nel frattempo cominciai a spingere seguendo le istruzioni che mi venivano impartite. L’unica cosa alla quale pensavo era mio marito. Non potevo farcela senza di lui. “Non lo troviamo, qui fuori non c’è, gli abbiamo anche telefonato ma non risponde”. Un’altra spinta. “Bravissima, dai che se continui così con tre spinte partorisci!” “Voglio mio marito!” Ancora una spinta “Il ciuffo si vede sempre di più, è una capellona la tua Diana”. 

Finalmente mio marito comparve “Scusa ma ero andato a bere il caffè, di solito ci voleva almeno un’ora prima che mi chiamassero”. Ancora una volta non aveva tutti i torti. Ora potevo spingere davvero. Qualche spinta dopo stringevo Diana tra le mie braccia. Erano le 7.45. Lei era lì nel suo lenzuolino, più grande di quanto pensassi, che piangeva disperata. “Non piangere amore, ora sei qui con la tua mamma” furono le prima parole che le dissi guardandola negli occhi



Io ringrazio Martina per aver accettato di condividere con noi, la sua esperienza di parto! Se anche voi volete condividere la vostra esperienza di parto, potete mandarmi il vostro racconto via e-mail a: da.mamma.a.mamma2012@gmail.com e sarà pubblicato il prima possibile.

Leggi anche tutti gli altri racconti qui: Racconti di parto 

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1 commenti:

Unknown ha detto...

I racconti del parronsono sempre emozionanti . Ognuno diverso dall'altro , ma momenti unici e irripetibili